È legittima la richiesta del Comune in quanto la sentenza della Corte costituzionale n. 20/2019 ne impedisce la sola pubblicazione.
È legittima la nota con la quale il Comune richiede a tutti i dirigenti di comunicare i dati riguardanti la situazione patrimoniale e reddituale, in quanto la sentenza della Corte costituzionale n. 20/2019 ne impedisce la sola pubblicazione. Lo afferma la quinta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 267/2025.
Le censure
La struttura regionale di un sindacato dei dirigenti degli enti locali chiede l’annullamento della nota con cui il comune aveva richiesto a tutti i dirigenti di comunicare i dati riguardanti la loro situazione patrimoniale e reddituale. In tale nota veniva precisato che tali dati sarebbero stati pubblicati esclusivamente per i direttori di area e il direttore generale, non per gli altri dirigenti. Il Tar respinge il ricorso sull’assunto che, dopo la sentenza n. 20/2019 della Corte costituzionale, l’obbligo di pubblicazione dei dati patrimoniali e reddituali è rimasto per i soli dirigenti nominati ai sensi dell’articolo 19, commi 3 e 4, del Dlgs 165/2001, non invece per tutti gli altri incarichi dirigenziali, per i quali residua comunque l’obbligo di comunicazione, che riguarda tutti i dati reddituali e patrimoniali percepiti dal dirigente, non solo a quelli a carico della finanza pubblica.
Il sindacato ha proposto appello denunciando l’illogicità del mantenimento in vita dell’obbligo di comunicazione perché non sorretto da alcuna sanzione e comporterebbe una detenzione indiscriminata di dati sensibili in capo all’amministrazione comunale, come tale idonea a produrre in concreto il medesimo effetto di una pubblicazione, essendo potenzialmente destinataria di istanze di accesso generalizzato ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del Dlgs 33/2013. E che la detenzione indiscriminata delle informazioni patrimoniali dei dirigenti in servizio è di per sé idonea a ledere il diritto alla riservatezza, tenuto conto che nel caso di istanze di accesso agli atti sarà la stessa amministrazione a valutarne i limiti e tutelare autonomamente la potenziale lesione delle posizioni giuridiche soggettive sottese.
Pubblicazione e comunicazione
La quinta sezione del Consiglio di Stato dichiara infondati tutti i motivi di appello. Ricorda che la sentenza della Corte costituzionale n. 20 del 2019 ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 14, comma 1-bis, del Dlgs 33/2013 nella parte in cui prevede che le Pa pubblicano i dati di tutti i titolari di incarichi dirigenziali anziché solo di quelli previsti dall’articolo 19, commi 3 e 4, del Dlgs 165/2001. Ma la Consulta non ha ritenuto illegittima la previsione dell’obbligo di comunicare la situazione patrimoniale del dirigente, anche qualora non sia stato nominato per uno di questi ultimi incarichi; anzi, ha valutato l’obbligo di fornire e aggiornare annualmente le informazioni sulla propria situazione reddituale e patrimoniale come una possibile alternativa conforme a ragionevolezza e proporzionalità. Reputa pertanto ancora vigente l’obbligo di comunicazione dei dati reddituali e patrimoniali ai sensi dell’articolo 14, comma 1-ter, del Dlgs 33/2013, che è del tutto autonomo rispetto al comma 1-bis censurato dalla Consulta, anche perché rimane in vigore l’articolo 13, comma 3, del Dpr 62/2013 – peraltro richiamato dall’articolo 1, comma 7, lettera a), del Dl 162/2019 – che parimenti impone al dirigente di fornire e rinnovare ogni anno le informazioni sulla propria situazione patrimoniale e le dichiarazioni annuali dei redditi.
I rischi potenziali
In risposta alle ulteriori censure mosse dall’appellante, il Consiglio di Stato ritiene non eccessiva la previsione secondo cui l’oggetto della dichiarazione del dirigente pubblico deve racchiudere anche i redditi percepiti da altre amministrazioni o da privati, posto che la conoscenza della provenienza dei redditi “è pienamente funzionale allo scopo principale perseguito dalla norma che impone gli obblighi dichiarativi e di pubblicazione, ossia (come precisato nella citata sentenza della Corte costituzionale) il contrasto alla corruzione nell’ambito della pubblica amministrazione”. Nemmeno sussiste il rischio che la detenzione dei dati comunicati dai dirigenti possa equivalere alla pubblicazione quando venga utilizzato lo strumento dell’accesso civico, in quanto questo va ricollegato all’articolo 5-bis, comma 3, del Dlgs 33/2013 che lo esclude nei casi previsti dalla legge.
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