Sul piatto della bilancia non il rapporto diritto a sapere/riservatezza ma il dato oggettivo della quantità di omissis, ban ed energie umane per farlo
Secondo il Tar Lazio (sentenza n. 7105/2024) se è vero che oggi la trasparenza è il cardine della buona amministrazione, è anche vero che l’istanza del cittadino può attenere solo a documentazione già formata, e semplicemente da fotocopiare e spedire: la legge impone un dovere di “dare” non certo anche di “fare” ossia di confezionare nuova documentazione. Il giudice romano mette così sul piatto della bilancia accesso/privacy, non il rapporto diritto a sapere/diritto alla riservatezza, ma il dato oggettivo della quantità di omissis, ban ed energie umane per farlo. Ecco perché l’accesso agli atti ben può essere negato quando sia necessaria una troppo faticosa attività di anonimizzazione e pseudonomizzazione dei dati, con il rischio concreto del blocco degli ingranaggi burocratici della macchina amministrativa.
A giudizio del giudice amministrativo capitolino è sempre necessaria un’operazione di prudente bilanciamento tra il diritto alla trasparenza e l’esigenza di non pregiudicare, attraverso un improprio esercizio del diritto di accesso, il buon andamento dell’Amministrazione, riversando sulla stessa un onere oltremodo gravoso che la sottoporrebbe ad attività incompatibili con la funzionalità dei suoi uffici e con l’economicità e la tempestività della sua azione. In realtà, l’amministrazione è tenuta a consentire l’accesso anche quando riguarda un numero cospicuo di documenti ed informazioni; a meno che la richiesta risulti manifestamente irragionevole, tale cioè da comportare un carico di lavoro in grado di interferire con il buon funzionamento dell’amministrazione. E la ragionevolezza della richiesta va valutata tenendo conto dell’attività di elaborazione, quale è l’oscuramento dei dati personali che l’amministrazione dovrebbe svolgere per rendere disponibili i dati e i documenti richiesti per mezzo delle risorse interne che occorrerebbe impiegare in rapporto al numero di ore di lavoro per unità e alla rilevanza effettiva dell’interesse conoscitivo che la richiesta mira a soddisfare.
Va inoltre evidenziato che l’anonimizzazione e la pseudonomizzazione perché possano ritenersi realmente efficaci da spogliare i dati del loro carattere personale, richiedono l’applicazione di tecniche che sono spesso gravose per l’elevato numero di individui cui si riferiscono e per la particolare tipologia delle informazioni.
Da tutto quanto esposto, il tribunale amministrativo romano ha dedotto che rispetto ad una richiesta di accesso che non ha ad oggetto dati già elaborati in maniera anonima dall’Amministrazione per una finalità di condivisione e di riutilizzo, bensì dati per i quali si richiede all’ente, con riferimento ai singoli e plurimi temi di accesso, una attività di ricerca, estrapolazione, analisi e anonimizzazione per eliminare il carattere personale del dato stesso, è del tutto sensata e rispondente al dettato normativo una valutazione di rigetto da parte degli uffici motivata con la incompatibilità con l’attività istituzionale ordinaria dell’Amministrazione.
sole 24 Nt
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