Concorsi, non va escluso chi non dichiara la pendenza del procedimento penale

Concorsi, non va escluso chi non dichiara la pendenza del procedimento penale

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…..sia la normativa vigente all’epoca dei fatti, d.p.r. 9 maggio 1994, n. 487, sia quella risultante all’esito delle modifiche introdotte con il d.p.r. 6 giugno 2023 n. 82, non prevedono alcuna ipotesi di automatica esclusione legata alla eventuale pendenza di procedimenti penali, poiché le novità di cui al primo periodo dell’art. 2, comma 7, non fanno altro che chiarire l’evidenza e cioè che l’accesso al pubblico impiego è precluso in tutti casi di interdizione dai pubblici uffici (v. artt. 28,29, 31 e 317-bis c.p.), divieto di contrarre con la Pubblica Amministrazione (artt. 32-ter, 32-quater e 317-bis c.p.) o destituzione di diritto (art. 32-quinquies c.p. e art. 85 comma 1 lett. a) e b) d.p.r. 3/1957), e le modifiche risultanti dal combinato disposto dei nuovi artt. 2, comma 7, secondo periodo, e 4, commi 2 e 5, nel prevedere l’obbligo di dichiarare qualsiasi precedente e i procedimenti a carico ancora pendenti, sono recettizi della prassi amministrativa registrata nel passato nell’inserire nel bando tale obbligo dichiarativo, senza tuttavia farne discendere in via automatica conseguenze caducanti.

 

Le cause di esclusione previste dal bando di selezione per l’accesso ad un concorso pubblico devono considerarsi tassative e non possono ritenersi integrate da ulteriori requisiti, benchè contenuti nel modello obbligatorio di dichiarazione da utilizzare per partecipare alla procedura selettiva. La vicenda, decisa dalla V sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 3001, pubblicata il 2 aprile 2024, vedeva ricorrente un Comune, che si era visto annullare in primo grado il provvedimento di decadenza dalla posizione di prima ed unica classificata nella graduatoria per la selezione di agente di polizia locale di una concorrente che aveva omesso di riportare, nella dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del Dpr 445/2000, la pendenza di un procedimento penale a proprio carico, così incorrendo in un falso dichiarativo (omissivo) rilevante ex art. 75 Dpr 445/2000.

In primo grado le ragioni della ricorrente erano state ritenute meritevoli di accoglimento in virtù del mancato raggiungimento della prova dell’esistenza in capo alla dichiarante dell’elemento soggettivo del reato di falso ideologico, sulla base della documentata circostanza che il procedimento penale di cui si assumeva la omessa dichiarazione era stato rinviato in prima udienza per consentire la rinnovazione della (irregolare) notifica del decreto di citazione a giudizio, il che rendeva del tutto probabile che la stessa non avesse, al momento di compilazione della domanda di concorso, effettiva contezza della pendenza del procedimento penale a suo carico.

Il Consiglio di Stato, pur ritenendo di confermare il provvedimento di annullamento della determina di esclusione emessa dal segretario comunale, modificava l’impianto motivazionale della sentenza di primo grado, partendo dall’opposto principio, peraltro suffragato da copiosa giurisprudenza, della irrilevanza dell’elemento soggettivo ai fini dell’applicazione del regime decadenziale previsto dall’art. 75 Dpr 445/2000, per soffermarsi invece su altri presupposti, nel caso specifico pure ritenuti mancanti, per l’applicazione del provvedimento caducante.

Difatti, il giudice di secondo grado poneva l’attenzione sui requisiti generali indicati nel bando che non prevedevano affatto tra le cause escludenti la eventuale pendenza di procedimenti penali, né poteva farsi assurgere a causa di esclusione la presenza nel modello di domanda della dichiarazione della dicitura «… di non [avere] procedimenti penali in corso», con l’obbligo relativo di indicarne la natura qualora pendenti, in coerenza con le norme di riferimento in materia che in nessun caso prevedono la mera pendenza di un procedimento penale quale causa di per sé impeditiva all’assunzione presso una pubblica amministrazione.

Una siffatta disposizione, peraltro, si porrebbe in aperto conflitto con il principio costituzionale di non colpevolezza sancito dall’art. 27 della Costituzione, come già acclarato anche per la più esigente normativa del reclutamento militare: «L’esclusione dal concorso, senza riserve e con carattere di definitività, per mancanza del requisito della condotta incensurabile sulla base della mera pendenza del procedimento penale si pone in contrasto con i principi costituzionali già innanzi richiamati e non è conforme ai parametri di logicità, proporzionalità e adeguatezza dell’azione amministrativa, oltre che ai principi espressi dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo» ( Consiglio di Stato, sez. II, 12 giugno 2023, n.5740).

Del resto, sia la normativa vigente all’epoca dei fatti, d.p.r. 9 maggio 1994, n. 487, sia quella risultante all’esito delle modifiche introdotte con il d.p.r. 6 giugno 2023 n. 82, non prevedono alcuna ipotesi di automatica esclusione legata alla eventuale pendenza di procedimenti penali, poiché le novità di cui al primo periodo dell’art. 2, comma 7, non fanno altro che chiarire l’evidenza e cioè che l’accesso al pubblico impiego è precluso in tutti casi di interdizione dai pubblici uffici (v. artt. 28,29, 31 e 317-bis c.p.), divieto di contrarre con la Pubblica Amministrazione (artt. 32-ter, 32-quater e 317-bis c.p.) o destituzione di diritto (art. 32-quinquies c.p. e art. 85 comma 1 lett. a) e b) d.p.r. 3/1957), e le modifiche risultanti dal combinato disposto dei nuovi artt. 2, comma 7, secondo periodo, e 4, commi 2 e 5, nel prevedere l’obbligo di dichiarare qualsiasi precedente e i procedimenti a carico ancora pendenti, sono recettizi della prassi amministrativa registrata nel passato nell’inserire nel bando tale obbligo dichiarativo, senza tuttavia farne discendere in via automatica conseguenze caducanti.

Posto, dunque, che né le norme né il bando imponevano l’esclusione della concorrente colpita dall’avvio di un procedimento penale, restava da valutare gli effetti della infedele compilazione del modello di partecipazione da parte della concorrente atteso che, come detto, nessuna rilevanza in tale fattispecie assume l’eventuale indagine sull’elemento soggettivo del reato di falso.

Attingendo anche dalla giurisprudenza giuslavoristica della Corte di Cassazione, nonché dai precedenti dell’Adunanza Plenaria in materia di contratti pubblici, il Collegio giudicante ripropone la teoria sostanzialistica del falso: «…non ogni falsità contenuta nella dichiarazione pur preliminare alla concessione di benefici vale a determinarne la decadenza ex art. 75 d.P.R. n. 445 del 2000, ma solo quella che sia risultata tale da incidere causalmente, in modo diretto ed effettivo, sull’adozione del provvedimento attributivo del beneficio (cfr. peraltro, in materia di contratti pubblici, Cons. Stato, Ad. plen., 28 agosto 2020, n. 16, che pone in risalto la necessità che le falsità e omissioni comunicative siano apprezzate, a fini escludenti, in una al fatto sostanziale non dichiarato, e dunque che le stesse assumano una rilevanza propriamente sostanziale»).

Atteso che la concorrente, anche qualora avesse messo a conoscenza l’ente della pendenza del procedimento penale a suo carico, avrebbe avuto comunque diritto all’assunzione, il Consiglio di Stato non ha potuto che constatare, nel caso di specie, l’irrilevanza causale della dichiarazione omessa, inidonea, per le ragioni sopra illustrate, ad integrare una causa di esclusione dal concorso, facendone derivare l’illegittimità del provvedimento comunale di decadenza.

da sole 24 NT santo Marinelli 15.04.2024

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GIANNI SANNA

Consulente Dasein. Formatore. Esperto in Programmazione, Anticorruzione , Trasparenza e Privacy. Responsabile Protezione Dati (RPD/DPO).

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