di Michele Nico
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In un commento su Facebook l’imputato faceva riferimento a «un notorio episodio accaduto durante un consiglio comunale. In tema di critica politica la Corte di cassazione (Sezione V, sentenza n. 39786/2023) si è espressa sul perimetro di applicazione del reato di diffamazione e ha chiarito che la fattispecie penale non si configura se la persona offesa da espressioni ingiuriose non risulta individuata con assoluta certezza.
Il fatto
Dopo un turbolento episodio accaduto nel consiglio comunale di una città siciliana, un consigliere di opposizione ha postato un commento su Facebook definendo «inetto, scorretto, inaffidabile e imbroglione» l’assessore alle politiche sociali dell’ente.
Nel corso della lite insorta tra i due politici locali la Corte di appello di Palermo, in linea con la decisione del Tribunale, dichiarava il consigliere colpevole di diffamazione aggravata, per aver leso l’altrui reputazione con frasi aggressive e toni infamanti non rispettosi del canone della continenza, né proporzionati e funzionali al contesto critico narrato.
Con la pronuncia in esame la Cassazione, richiamando l’orientamento dominante in materia, ha confermato che espressioni come «essere inetto, scorretto, inaffidabile e imbroglione» non rientrano nel diritto di critica politica per il fatto che integrano delle invettive rivolte alla sfera privata della persona, che esorbitano dal riferimento alla carica ricoperta ed esulano dal requisito della continenza.
Nonostante ciò, la Sezione V ha accolto il ricorso del consigliere in questione e ha annullato la sentenza gravata, in ragione del rilievo dirimente secondo cui la Corte d’appello è venuta meno all’esigenza di individuare con certezza il soggetto passivo della dichiarazione diffamatoria.
Il collegio ha osservato, sul punto, che è compito dell’organo giudicante vagliare «le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, così che possa desumersi, con ragionevole certezza, l’inequivoca individuazione dell’offeso».
L’identificazione dell’offeso
Sotto questo profilo la decisione impugnata si è rivelata carente alla luce del fatto che nel commento su Facebook l’imputato faceva riferimento a «un notorio episodio accaduto durante un Consiglio comunale», nonché “all’assessore al ramo dell’epoca, oggi attivista del movimento cinque stelle», senza però indicare il preciso contesto temporale in cui l’episodio in questione si sarebbe verificato.
In tale contesto, mentre la Corte d’appello collocava il “notorio episodio” nell’arco temporale degli anni 2007/2009, la deduzione difensiva del ricorrente ha collocato l’evento in epoca precedente, ovvero nel 2006, quando la carica di assessore alle politiche sociali era ricoperta da un’altra persona.
Di qui il venir meno dell’impianto accusatorio e il conseguente l’annullamento della sentenza impugnata, con il rinvio ad altro giudizio di merito per accertare se il lettore del commento pubblicato su Facebook fosse o no in grado di individuare nella controparte processuale il protagonista dell’episodio accaduto nel Consiglio comunale dell’ente.
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