Il Comune deve rimuovere dall’albo pretorio online, dopo 15 giorni dalla pubblicazione delle sue deliberazioni, le informazioni contenute che non attengono all’organizzazione degli uffici o al funzionamento dell’ente ma che riguardano dati sensibili di un soggetto. Ad affermarlo è la Cassazione con l’ordinanza n. 18292/2020.
La vicenda prende le mosse dall’ordinanza ingiunzione con la quale il Garante per la protezione dei dati personali irrogava la sanzione di 4mila euro nei confronti di un piccolo Comune siciliano, a causa di un trattamento di dati personali effettuato in violazione delle norme di legge. In particolare, il Comune era colpevole di aver mantenuto visibile sul proprio albo pretorio online, per oltre un anno, alcune determinazioni dirigenziali dalle quali risultavano: nome e cognome di una dipendente dell’ente, l’esistenza di un contenzioso tra la stessa e l’amministrazione (che giustificava le determinazioni), il suo stato di famiglia e la richiesta, poi negata, di rateizzazione di quanto da questa dovuto al Comune. Secondo il Garante della privacy queste informazioni non riguardavano l’organizzazione degli uffici e non potevano rimanere visibili oltre i 15 giorni previsti dall’articolo 124 del Codice della privacy, valevoli per tutte le deliberazioni comunali.
La questione è arrivata in Cassazione dopo che il Tribunale aveva confermato la sanzione irrogata. Alla medesima conclusione è giunta anche la Suprema corte che sottolinea come nella fattispecie non assume rilievo la trasparenza della pubblica amministrazione, bensì la violazione della regola posta dall’articolo 124 del Codice della privacy. La norma, infatti, fissa la regola per la quale le deliberazioni comunali devono essere rese pubbliche nell’albo pretorio per 15 giorni, oltre i quali le informazioni contenute vanno rimosse se «non afferenti all’assetto organizzativo dell’ufficio». Lo stato di famiglia della dipendente e la mancata rateizzazione del debito verso il Comune non possono ritenersi informazioni organizzative dell’ente e, pertanto, dopo il tempo stabilito dall’articolo 124 del Codice della privacy dovevano essere rimosse.
Infine, precisano i giudici di legittimità, l’omessa rimozione dei dati personali dall’albo pretorio online non può essere riconducibile alla «disfunzione di applicativi informativi gestiti da un consulente esterno», in quanto tale circostanza era «pienamente riconducibile alla sfera di signoria dell’Ente e del suo apparato».
Da Sole24 Enti Locali
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